Si è conclusa la prima edizione del concorso indetto dal NebbiaGialla Suzzara Noir Festival e Radio Bruno, che dava la possibilità di cimentarsi nella scrittura di un racconto giallo.
Sono stati selezionati, tra i molti, due racconti.
Il primo è di Marika Magon, che pubblichiamo di seguito.
Driiiin Driiin Driiin … “Camilleri” rispose un’assonnata voce dopo innumerevoli squilli.
“Maresciallo, abbiamo urgentemente bisogno del suo aiuto: c’è stato un omicidio presso il Politeama di Suzzara”.
Senza chiedere ulteriori informazioni il maresciallo Camilleri concluse la telefonata, si alzò dal divano e spense la televisione che era rimasta accesa prima che si addormentasse. S’infilò un paio di pantaloni e un maglione, senza badare troppo all’abbinamento di colori, mise le solite scarpe nere, mentre Felix, il suo gatto, si strusciava insistentemente tra le sue gambe e poi si diresse verso la porta di casa, agguantò l’impermeabile, visto il temporale che si prospettava, ed uscì.
Dopo pochi minuti raggiunse il cinema di Suzzara, dove ad attenderlo c’era già il Commissario. Senza troppo nascondere la sua camminata zoppa, si avvicinò alla scena del delitto, si accese nervosamente una sigaretta e prese ad osservare la scena. Dietro al cartellone giallo che pubblicizzava la rassegna del Festival Nebbia Gialla, giaceva a terra un corpo senza vita. Era una giovane donna, dall’aspetto molto curato, con biondi e lunghi capelli.
Sul viso angelico compariva una sbavatura di rossetto che si protraeva fino al mento. Indossava un elegante vestito rosso, con una notevole scollatura, che lasciava intravedere il pizzo del reggiseno, mentre i collant color carne mettevano in risalto le lunghe gambe. Il maresciallo Camilleri si avvicinò per osservala meglio e notò l’evidente buco nelle calze all’altezza del ginocchio sinistro.
Si rialzò e si diresse verso il tavolo dove erano stati posti gli effetti personali della vittima. Duilio, il custode del cinema, che per primo si accorse della presenza del cadavere, si avvicinò furtivamente al Maresciallo, precisandogli che la borsetta era già aperta al momento del ritrovamento. Camilleri reagì con una fredda occhiataccia, zittendo immediatamente l’uomo. Poi prese in mano il portafogli e lo aprì: nessuna traccia di soldi, carte o bancomat, solo una vecchia carta di raccolta punti del supermercato e la carta d’identità.
“Maria Lucarelli” sussurrò Salvo, “nata il 22 Gennaio 1976”, rilesse nuovamente la data per cercare una conferma: proprio oggi avrebbe compiuto 38 anni. Il Maresciallo tornò dalla vittima ed iniziò a fissarla meglio. Non portava la fede, ma all’anulare
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destro aveva un anello con un grosso diamante. L’investigatore pensò immediatamente che non poteva trattarsi di una tentata rapina finita male, ma sotto c’era sicuramente dell’altro. Lo raggiunse il carabiniere che per primo era giunto sul luogo del delitto e lo informò che avevano già provveduto ad avvisare i familiari della vittima, prendendo il numero telefonico dal cellulare che era ancora dentro la borsetta. L’indomani Camilleri ricevette una telefonata dal medico legale, che lo avvisò che la donna era morta a causa di una pugnalata all’addome, proprio con il tagliacarte argentato che era stato ritrovato poco distante, ma che sull’arma non comparivano impronte digitali utili alla risoluzione del caso. Camilleri iniziò ad investigare nell’apparente tranquilla vita di Maria Lucarelli:chi poteva avercela così tanto con questa donna da arrivare ad ucciderla? Proprio mentre il maresciallo era assorto nei suoi pensieri, irruppe nel suo ufficio l’appuntato Giusti per informarlo che era stato analizzato il cellulare della vittima e le ultime 10 telefonate erano tutte indirizzate allo stesso numero.
Si trattava di Sandrone Dazieri, un amico di vecchia data della vittima, noto a tutti in paese per esser finito in rovina ed avere gravi debiti a causa del brutto vizio del gioco d’azzardo. Proprio mentre l’investigatore stava per uscire dal suo ufficio, ricevette una telefonata anonima, con la quale una camuffata voce lo informava che Maria Lucarelli il giorno stesso della sua morte aveva avuto una violenta litigata con la sua collega di lavoro, Diana Lama, entrambe impiegate presso una nota azienda del posto; tra le due non era mai corso buon sangue, ma quel giorno avevano davvero superato il limite, tanto che era dovuto intervenire il responsabile d’ufficio per dividerle.
Tra l’altro un testimone oculare, uscito a passeggio con il cane, la sera dell’omicidio, avrebbe visto sgommare a tutta velocità una Fiat 500 rossa, la stessa autovettura di proprietà della signora Lama. Camilleri decise di andare a casa della donna per farle qualche domanda.
Suonò ripetutamente al citofono, finché un uomo aprì la porta, il maresciallo nascose il suo stupore, perché lo riconobbe subito, era Marco Videtta, il direttore del teatro. L’uomo, visibilmente scosso, disse che la moglie non si sentiva troppo bene e che da qualche giorno era a letto con l’influenza. Quanto a lui non potè fare a meno di confermare che la sera precedente era presente alla rassegna, ma che come tutti aveva lasciato il posto appena terminato l’evento, senza accorgersi di nulla. Camilleri si stava facendo un quadro ben chiaro della situazione; mentre attraversava a piedi piazza Garibaldi si era fatto un’idea ben precisa del perché la Lucarelli fosse stata uccisa.
Sandrone, lo conosceva bene anche lui: aveva sì il brutto vizio del gioco, ma non avrebbe mai torto un capello a nessuno, ed oltre a ciò, il suo alibi era stato confermato dal titolare del bar dove trascorreva tutte le serate.
Senza più dubbi, Salvo si diresse verso il teatro. Parcheggiata nel piazzale c’era la Fiat 500 rossa della signora Lama. Accelerò il passo e si trovò di fronte all’ufficio, la cui targhetta indicava “Marco Videtta, direttore”. Bussò violentemente, senza però ricevere alcuna risposta, finché decise di spalancare la porta.
Videtta non alzò neppure lo sguardo mentre continuava ad aprire la corrispondenza con la punta della forbice e con un ghigno disse “Sapevo che prima o poi avresti bussato alla mia porta”. Camilleri si accomodò di fronte a lui e con il solo sguardo indusse Videtta alla confessione. “Maria era la mia amante già da un anno. Quella maledetta sera iniziò ad insistere che avrebbe voluto che trascorressimo la sera seguente, cioè il suo compleanno, assieme, ma io proprio non potevo: avevo già promesso a Diana che l’avrei portata a cena fuori. Non le era bastato l’anello che le avevo regalato, no, lei voleva di più, voleva che lasciassi mia moglie. Fu quando lei mi disse che ero un codardo perché non avevo il coraggio di essere sincero con Diana e che per questo motivo ci aveva già pensato lei a dirglielo… a dirle che lei era la mia amante e per questo motivo aveva scatenato una lite furibonda in ufficio. A quel punto non ci ho più visto: dovevo liberarmi di quella donna al più presto, altrimenti avrebbe rovinato la mia vita….” Videtta scoppiò improvvisamente in un pianto liberatorio, mentre Camilleri estraeva le sue fidatissime manette.